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Conto energia: divieto di cumulo con altri aiuti fiscali

Conto energia: divieto di cumulo con altri aiuti fiscali

Potrebbero essere interessati dallo stop al cumulo degli incentivi forse 2mila dei 136mila impianti fotovoltaici che posseggono le caratteristiche tecniche adeguate. Infatti una comunicazione del Gse (il Gestore dei servizi energetici) ha ricordato mercoledì che non è possibile sommare l’incentivo del Conto energia sull’elettricità fotovoltaica agli aiuti fiscali della Tremonti Ambiente.

Finora l’agenzia delle Entrate e il Gse hanno individuato una cinquantina di impianti che ricevono entrambi gli aiuti, quello all’energia verde prodotta dai pannelli solari e quello per l’investimento ambientale che, dice la Tremonti, non va a costituire reddito imponibile. Ma se sono una cinquantina i casi verificati, secondo stime approssimative al cumulo degli aiuti potrebbero essere interessate 2mila imprese.

Il Gse nella nota informa che le aziende che si trovassero in questa condizione di cumulo degli incentivi devono avvisare entro un anno l’agenzia delle Entrate e il Gse per far sapere la loro scelta tra le due forme di incentivazione, o l’una (il più interessante Conto energia) o l’altra (la meno appetitosa Tremonti Ambientale), e a quale invece rinuncino.

Stando ai dati del Gse, il perimetro interessa gli impianti fotovoltaici di dimensioni medie, cioè non quelli di scala industriale oltre il megawatt di potenza né quelli domestici sotto i 20 chilowatt. Così la fascia coinvolta può comprendere esclusivamente gli impianti fotovoltaici delle piccole e medie imprese, tipicamente quelli realizzati sul tetto del capannone aziendale, che ricevono l’incentivo del terzo Conto energia (3.903 impianti), del quarto (27.298 impianti) e del quinto Conto Energia (4.991 impianti), per un totale di 36.192 impianti fra i quali è compresa quella cinquantina di impianti già verificati e quel paio di migliaia di impianti per i quali si ipotizza il cumulo degli aiuti.

In Italia sono incentivati in tutto 550mila impianti fotovoltaici, quasi tutti impianti domestici di dimensioni piccolissime da pochi chilowatt.

Ritocchi normativi a favore della cumulabilità dei due incentivi sono previsti da diversi emendamenti alla Legge di Stabilità; l’unico finora sopravvissuto (Piccoli, Marin, Ceroni) è all’esame della commissione Bilancio del Senato e consente un cumulo parziale di più incentivi, con un tetto massimo del 20%.

AdA

fonte Sole24Ore 318/17 JG

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Modelli 231 e «Foia» obbligatori per tutte le aziende pubbliche

Modelli 231 e «Foia» obbligatori per tutte le aziende pubbliche

L'Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac) rafforza la sua vigilanza sugli obblighi di trasparenza e prevenzione della corruzione imposti alle partecipate della Pa. Lo prevede la delibera n. 1134 del 8/11/2017: dal 31 gennaio 2018 l’Authority inizierà a esercitare i propri poteri di analisi su una lunga lista di soggetti collegati alla pubblica amministrazione. Con un’importante eccezione: le nuove regole non si applicano per adesso alle quotate, in attesa di una pronuncia del ministero dell’Economia e della Consob.

Il documento dell’Autorità serve, soprattutto, a chiarire il campo dopo gli interventi della riforma Madia che, tra le altre cose, ha introdotto nel nostro ordinamento l’accesso allargato agli atti della Pa, il Foia (Freedom of Information Act). Ma non solo: l’Authority considera strategici anche altri strumenti di prevenzione della corruzione, diversi dalla semplice trasparenza. Anche in questo caso ci sono elementi da spiegare meglio.

L’Anac distingue, allora, tre livelli di applicazione delle nuove norme: le pubbliche amministrazioni; i soggetti con un livello di connessione maggiore con la Pa, come le società controllate; gli altri soggetti, come le semplici partecipate, che svolgono attività di pubblico interesse ma non sono assimilabili alla Pa. Queste ultime applicano solo le norme in materia di trasparenza e non tutto il set di regole in tema di prevenzione della corruzione.

Facile in teoria, perché in pratica è parecchio complicato incasellare con precisione tutti i soggetti che orbitano nel variegato universo della Pa. Molte indicazioni dell’Autorità servono, allora, proprio a definire con esattezza il perimetro nel quale le nuove regole esplicano i loro effetti. Spiegando, tra le altre cose, come si definisce la nozione di controllo o quando una società può essere considerata in house, guardando anche alle norme europee.

Le fondazioni bancarie, in questo quadro, sono ad esempio fuori dalle disposizioni in materia di trasparenza, sempre che non vogliano liberamente scegliere di pubblicare «i dati più rilevanti» sulla loro attività. Mentre le Casse di previdenza private dei professionisti andranno considerate come soggetti che svolgono attività di pubblico interesse. E, quindi, sottoposte agli obblighi di accesso agli atti ma non a quelli di prevenzione della corruzione.

Per tutti questi soggetti, ai diversi livelli, scatta un nuovo calendario di adempimenti. La prima data da segnare sul calendario è il 31 gennaio del 2018: da quel giorno «l’Anac eserciterà i propri poteri di vigilanza sul rispetto degli obblighi». Più nello specifico, andrà adottato il “modello 231” (il modello organizzativo che consente di prevenire la corruzione), bisognerà fissare le regole interne per le domande di accesso agli atti e definire quali sono le attività di pubblico interesse. In altre parole, le partecipate dovranno dire quali sono le loro funzioni che, in qualche modo, si legano a quelle della Pa, facendo scattare i controlli Anac.

A supporto degli obblighi di pubblicazione delle Pa c’è, infine, l’allegato alla delibera, che contiene una lista dettagliata delle tipologie di documenti da inserire nella sezione “Amministrazione/Società trasparente”: per ogni contenuto ci sono le rispettive categorie di obbligati. Le società controllate dalla Pa dovranno, ad esempio, pubblicare i dati sui loro beni immobili e sulla gestione del patrimonio, ma anche contributi, sussidi e altri vantaggi economici ottenuti a qualsiasi titolo dalla Pa.

AdA

fonte Sole24Ore 315/17 GL

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Voucher hi-tech per le Pmi

Voucher hi-tech per le Pmi

In Campania e Lombardia più chance di accesso al voucher per la digitalizzazione. Per la misura di aiuto, infatti, sono disponibili 100 milioni di euro distribuibili a micro, piccole e medie imprese e alle società tra professionisti per l’implementazione di interventi di digitalizzazione dei processi aziendali e di ammodernamento tecnologico.

L’incentivo è gestito dal ministero dello Sviluppo economico sulla scorta delle disposizioni dettate dal Dl 145/2013, la cui disciplina attuativa è stata adottata con il decreto interministeriale 23 settembre 2014. Tuttavia, l’operatività del bonus è su base regionale. Questo significa che le risorse disponibili sono ripartite non in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, ma con criteri differenziati fra una Regione e l’altra.

In particolare la ripartizione è suddivisa su tre macro aree:
- Regioni meno sviluppate cui è attribuito un fondo di 26.676.395,23 euro;
- Regioni in transizione cui è attribuito un fondo di 5.867.283,77 euro;
- altre Regioni del territorio nazionale cui è attribuito un fondo di 67.456.321,00 euro.

Al primo gruppo appartengono Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Campania, cui spetta la quota di risorse più ampia con 9.120.363,89 euro. Nelle Regioni in transizione ci sono Abruzzo, Molise e Sardegna. Nel gruppo residuo tutte le altre Regioni, dove primeggia la Lombardia con la quota di risorse più ampia, pari a 15.784.825,34 euro.

La misura di aiuto, benché a sportello, non opera col criterio premiale dei “primi arrivati”; dopo 30 giorni dalla chiusura , infatti, il Mise adotterà un provvedimento cumulativo di prenotazione dell’incentivo, su base regionale, dove evidenzierà per ogni domanda l’importo dell’agevolazione prenotata. Qualora la richiesta fosse superiore all’ammontare delle risorse disponibili, non ci saranno esclusioni, ma solo un riparto delle risorse in proporzione al fabbisogno derivante dalla concessione del contributo da assegnare a ciascuna impresa beneficiaria.

Le istanze vanno presentate con la procedura informatica che sarà accessibile sul sito del ministero dello Sviluppo economico dal 15 gennaio. Tuttavia, solo a partire dalle ore 10 del 30 gennaio e fino alle ore 17 del 9 febbraio si potranno presentare le domande. Attenzione; l’accesso alla procedura richiede il possesso della carta nazionale dei servizi, ovvero un dispositivo che può essere richiesto in Camera di commercio dal titolare dell’impresa e che non va confusa con la semplice firma digitale. Necessaria anche una casella di posta elettronica certificata.

L’accesso al beneficio è rivolto alle imprese. Nonostante ciò, il ministero dello Sviluppo economico ha chiarito che anche gli studi professionali e i liberi professionisti possono accedere alle agevolazioni, qualora svolgano la propria attività in forma di impresa; si tratta delle società tra professionisti che siano già iscritte, alla data di presentazione della domanda, al Registro delle imprese. Si ricorda che possono costituire una Stp i soli professionisti appartenenti alle professioni protette, ossia, quelle che per essere esercitate hanno l’obbligo di iscrizione a collegi, ordini e albi specifici. Si tratta, ad esempio, di medici, ingegneri, avvocati e commercialisti.

AdA

fonte Sole24Ore 318/17 AS

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Pubblicata la Legge europea 2017 con le disposizioni in materia ambientale

Pubblicata la Legge europea 2017 con le disposizioni in materia ambientale

Pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge 20 novembre 2017, n. 167 "Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2017".

Con la pubblicazione sulla Gu della legge 167/2017 (“Legge europea 2017”) arrivano modifiche al Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 "Norme in materia ambientale" in tema di emissioni industriali e su alcuni aspetti della disciplina sull'autorizzazione integrata ambientale (AIA) e regole più stringenti per i limiti di emissione delle acque reflue urbane e per il monitoraggio degli inquinanti nelle acque sotterranee.

In particolare, la legge interviene sulla disciplina relativa ai limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili, stabilendo che gli stessi limiti devono essere monitorati e rispettati non in relazione alla potenzialità dell'impianto ma, più in generale, al carico inquinante generato dall'agglomerato urbano. Viene escluso che tali ulteriori attività di monitoraggio e controllo comportino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e a carico della tariffa del servizio idrico integrato per le attività svolte dal gestore unico del servizio.

Dalle disposizioni dell'articolo non derivano effetti su quanto disposto dall'articolo 92 del D.Lgs. 152/2006, che disciplina le zone vulnerabili da nitrati di origine agricola, e sulla sua applicazione in relazione ai limiti di utilizzo delle materie agricole contenenti azoto nelle medesime aree.

Il successivo articolo 18 modifica in più punti le norme che, nell'ambito del Codice dell'ambiente di cui al D.Lgs. 152/2006, sono volte ad attuare le disposizioni in materia di emissioni industriali e di autorizzazione integrata ambientale (AIA) dettate dalla direttiva 2010/75/UE. La finalità delle modifiche è quella di pervenire ad un recepimento completo della Direttiva e, conseguentemente, superare le censure mosse dalla Commissione europea.

Le modifiche operate investono quattro gruppi diversi di disposizioni:
1) la disciplina dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA), dettata dalla parte seconda del Codice;
2) le disposizioni sugli impianti di incenerimento e coincenerimento dei rifiuti contenute nel Titolo III-bis della parte quarta del Codice;
3) le norme in materia di emissioni di composti organici volatili (COV) e di grandi impianti di combustione, contenute nella parte quinta del Codice;
4) la disciplina relativa alle installazioni e agli stabilimenti che producono biossido di titanio e solfati di calcio, contenuta nella parte quinta-bis del Codice.

AdA

Scarica la Legge 20 novembre 2017, n. 167

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Voucher per l’internazionalizzazione delle Pmi, al via la procedura online per compilare la domanda

Voucher per l’internazionalizzazione delle Pmi, al via la procedura online per compilare la domanda

Con decreto del Direttore Generale per le politiche internazionalizzazione e la promozione degli scambi del 18 settembre 2017, il Ministero dello Sviluppo Economico ha definito le modalità operative e i termini per la richiesta e la concessione dei “Voucher per l’internazionalizzazione”, finalizzati a sostenere le PMI e le reti di imprese nella loro strategia di accesso e consolidamento nei mercati internazionali con 26 milioni di risorse stanziate, ai sensi del DM 17 luglio 2017.

Si tratta della seconda edizione di questo importante strumento di sostegno all’internazionalizzazione delle PMI, che prevede interessanti novità rispetto al bando precedente:

  • Anche le PMI costituite in forma di società di persone potranno presentare la domanda;
  • Sono previsti contributi a fondo perduto di diversa entità, a seconda delle esigenze dei beneficiari;
  • È previsto uno stanziamento di risorse comunitarie per le Regioni Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Basilicata;

Le PMI che intendono richiedere l’accesso ai voucher potranno iniziare la compilazione on-line della domanda a partire dal 21 novembre 2017. L’apertura dello sportello è prevista dalle ore 10.00 del 28 novembre 2017.

In particolare, per agevolare le imprese, il bando stabilisce che, a partire dalle ore 10.00 del 21 novembre 2017, le imprese interessate potranno iniziare la compilazione della domanda di accesso alle agevolazioni tramite l’apposita procedura informativa resa disponibile nell’apposita sezione “Voucher per l’internazionalizzazione” del sito internet del Ministero.

Le domande di accesso completate e firmate digitalmente dovranno essere presentate esclusivamente online a partire dalle ore 10.00 del 28 novembre 2017 e fino al termine ultimo delle ore 16.00 del 1° dicembre 2017.

Decreto Direttoriale del 18 settembre 2017

Maggiori info

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Rumore generato da ascensori e apparecchi similari. Allo studio una norma UNI

Rumore generato da ascensori e apparecchi similari. Allo studio una norma UNI

Il progetto UNI1603181 “Informazioni acustiche sull'impianto di ascensori, montacarichi, apparecchi similari e relativi componenti, a supporto della progettazione dell'edificio, ai fini del contenimento dei livelli sonori all'interno dell'edificio” (futuro TR) fornirà informazioni acustiche sull'impianto di ascensori, montacarichi, apparecchi similari e relativi componenti, a supporto della progettazione dell'edificio, ai fini del contenimento dei livelli sonori all'interno dell'edificio, come da esigenze del cliente finale.
I rumori e le vibrazioni di un impianto di ascensore influiscono fortemente sulla popolazione di un edificio (utilizzatori e residenti); insieme all’aspetto estetico, alle prestazioni e alla tecnologia proprie dell’impianto, il rumore e le vibrazioni contribuiscono a definirne la sua qualità. È utile che questi aspetti vengano considerati e pianificati con cura fin dalle prime fasi progettuali relative all’ascensore e all’edificio da parte dell'utilizzatore finale, del progettista e dell’installatore.
Il rapporto tecnico si applica all'installazione di impianti nuovi in edifici nuovi. I dati forniti possono essere utilizzati anche all'installazione di impianti nuovi in edifici esistenti.
Il progetto è di competenza del GL 14 “Rumore generato da ascensori, montacarichi e apparecchi similari”, gruppo misto tra le Commissioni Impianti di ascensori, montacarichi, scale mobili e apparecchi similari e Acustica e vibrazioni.
Eventuali commenti al progetto UNI1603181, in inchiesta pubblica finale, potranno essere inviati all’UNI entro il 7 dicembre 2017.

mb

Fonte UNI

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La holding non paga per la 231: va provato il coinvolgimento nei reati

La holding non paga per la 231: va provato il coinvolgimento nei reati

Anche se tra i soggetti in capo ai quali può essere configurata la responsabilità amministrativa da reato il Dlgs 231/2001 non fa esplicito riferimento ai gruppi di impresa, ci si trova sempre più spesso di fronte a possibili configurazioni di responsabilità di società controllanti, controllate o collegate in caso di reati commessi all’interno di schemi societari articolati laddove la strutturazione societaria finisce con l’incidere, inevitabilmente, sui sistemi decisionali, gestionali e di controllo.

L’articolo 1 del Dlgs 231/2001 prevede, infatti, la possibile configurazione di responsabilità amministrativa in capo agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni, anche prive di personalità giuridica, con esclusione dello Stato, degli enti pubblici territoriali, degli altri enti pubblici non economici nonché degli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.
In assenza, dunque, di un riferimento normativo alla nozione del gruppo di impresa e in attesa di auspicabili interventi da parte dello stesso legislatore volti a chiarirne la portata, non sono ovviamente mancati dibatti sulla possibile interpretazione da attribuire alla predetta disposizione.

In particolare, almeno fino al 2014 è prevalsa la tesi di coloro che ritenevano di dover includere il gruppo di imprese tra i soggetti elencati nel citato articolo 1 e conseguentemente di poter configurare la responsabilità per illeciti penali anche in capo alla holding. Su questo filone, il Tribunale di Milano, pronunciandosi sulla responsabilità 231 nei confronti di società appartenenti a un gruppo, ravvisò un “potere di fatto” della holding sulle controllate, individuando conseguentemente la stessa capogruppo come “mandante” rispetto agli illeciti commessi dalle o nelle controllate (Tribunale Milano 20 settembre 2004).

Negli anni successivi, tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ha ristretto l’ambito di applicazione, ancorando l’eventuale responsabilità amministrativa delle società appartenenti a un gruppo alla prova di un preciso coinvolgimento delle medesime nella consumazione dei reati-presupposto o, quanto meno, nelle condotte che hanno determinato l’acquisizione di un illecito profitto e nel conseguimento di eventuali illeciti benefici anche non patrimoniali (Corte cassazione, sentenze 24583/2011, 4324/2013, 2658/2014).

Nel 2014 è poi intervenuta Confindustria in occasione della diramazione delle «Linee Guida in materia di costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo» sostenendo una interpretazione in linea con le ultime pronunce di legittimità.

In particolare, dedicando un paragrafo alla responsabilità per gli illeciti penali in seno ai gruppi di imprese, Confindustria ha sostenuto che il gruppo non può considerarsi diretto centro di imputazione della responsabilità da reato e non è inquadrabile tra i soggetti elencati nell’articolo 1 del Dlgs 231/2001. Non essendo infatti prevista alcuna disposizione che imponga in capo agli apicali della controllante l’obbligo giuridico e che conferisca i poteri necessari per impedire i reati nella controllata, non trova applicazione nel caso di controllo societario l’articolo 40, comma 2 Cp secondo cui «non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo». Ne consegue dunque che l’attività di direzione e coordinamento non può comportare, di per sé, la responsabilità in capo ai vertici della controllante dell’omesso impedimento dell’illecito commesso nell’attività della controllata, a meno che i soggetti apicali della capogruppo, ingerendosi in modo sistematico e continuativo nella gestione della controllata, non fossero di fatto amministratori della stessa.

Successivamente all’intervento di Confindustria, la Corte suprema è nuovamente intervenuta sul tema, precisando che al fine di configurare la responsabilità ai sensi del Dlgs 231/2001 della holding o di altra società appartenente a un medesimo gruppo non è sufficiente l’enucleazione di un generico riferimento al gruppo, ovvero a un cosiddetto generale «interesse di gruppo». La holding e/o le altre società facenti parte di un gruppo possono, infatti, essere chiamate a rispondere del reato commesso nell’ambito dell’attività di una società controllata appartenente al medesimo gruppo, purché nella consumazione del reato presupposto concorra almeno una persona fisica che agisca per conto della holding stessa o dell’altra società facente parte del gruppo, perseguendo anche l’interesse di queste ultime (Cassazione, sentenza n. 52316/2016).

AdA

fonte Sole24Ore 300/17 RA

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Pronti per le Onlus gli sconti su bollo, registro e donazioni

Pronti per le Onlus gli sconti su bollo, registro e donazioni

Le Onlus, le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale saranno considerate già enti del terzo settore e ad esse si applicheranno fin dal 1° gennaio 2018 alcune norme agevolative previste dal Codice del terzo settore (Dlgs 117/2017).

Le norme subito applicabili riguardano:

  • il risparmio fiscale dei donatori per le donazioni (in denaro o in natura), con la detrazione Irpef che aumenta dal 26 al 30% e al 35% se il beneficiario è un’organizzazione di volontariato, per un importo massimo erogato di 30mila euro per periodo d’imposta; oppure, in alternativa, la deduzione Irpef o Ires nei limiti del 10% dell’imponibile del donante;
  • l’applicazione in somma fissa delle imposte di registro, ipotecaria e catastale nell’acquisto a titolo oneroso di beni immobili;
  • l’esenzione generalizzata dall’imposta di bollo;
  • l’estensione dell’esenzione dall’imposta sulle donazioni e successioni per i trasferimenti a titolo gratuito a favore degli enti del terzo settore.

Serve invece un provvedimento attuativo, atteso a breve, per il cosiddetto social bonus, cioè per le erogazioni finalizzate al recupero di beni immobili inutilizzati o confiscati alla criminalità organizzata assegnati da enti pubblici agli enti del terzo settore. Inoltre è previsto che subito dopo l’emanazione di altri due decreti ministeriali siano attivati gli strumenti dei titoli di solidarietà (obbligazioni dedicate al terzo settore) e del social lending.

Sull’Imu sono confermati gli ambiti oggettivi per i quali opera l’esenzione: attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di religione o di culto.

Per le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale saranno esenti dall’Ires i redditi degli immobili destinati in via esclusiva allo svolgimento di attività non commerciale.
In merito alla nuova distinzione tra attività commerciali e non commerciali, essa entrerà in vigore si presume nel 2019, sempre che nel corso del 2018 si verifichino le due condizioni previste dalla legge. La prima consiste nell’approvazione da parte della Commissione europea delle misure fiscali relative appunto alla nuova definizione di attività commerciale, in modo che le misure non siano considerate aiuti di Stato. La seconda è che il Registro unico nazionale degli enti del terzo settore sia operativo.
Come cambierà la commercialità

Per capire come cambierà il concetto di commercialità rilevano due questioni. La prima è la commercialità della singola attività. Per l’attività della onlus che ha posto il quesito (assistenza socio-sanitaria), l’attività sarà non commerciale qualora la somma delle rette richieste agli assistiti o ai loro familiari più le contribuzioni di natura pubblica sia minore della somma dei costi effettivi, includendovi in essi quelli diretti e quelli indiretti legati alla specifica attività. Non devono essere considerati tra i contributi di natura pubblica gli importi di partecipazione alla spesa previsti dall’ordinamento (ad esempio i ticket sanitari).
In relazione alla commercialità dell’ente nel suo insieme, al posto dell’attuale articolo 149 del Tuir, si considera commerciale l’ente che risulti avere le entrate commerciali da attività di interesse generale sommate alle attività diverse, al netto delle sponsorizzazioni, maggiori della somma delle attività non commerciali, delle liberalità, delle quote associative, delle raccolte pubbliche di fondi e del valore normale delle cessioni e delle prestazioni gratuite offerte gratuitamente dall’ente.

Rispetto all’attuale situazione della normativa Onlus (che continuerà comunque ad applicarsi per tutto il 2018) il panorama e le prospettive cambiano notevolmente. Innanzitutto scompare la necessità di realizzare le attività prevalentemente a favore di persone svantaggiate, condizione propria delle Onlus che ha portato non pochi dubbi interpretativi sul concetto di svantaggio. Molte delle frizioni tra enti e direzioni regionali delle Entrate, infatti, scaturivano da una diversa concezione di svantaggio.

Per definire le attività degli enti del terzo settore non sarà quindi più necessario far riferimento ai soggetti svantaggiati, ma si dovrà di volta in volta comprendere se e in quale misura l’attività dell’ente sia compresa tra una delle 26 attività di interesse generale riportate nell’articolo 5 del Codice. Per molte delle attività, il legislatore ha provveduto a inserire la normativa di settore rendendo – o almeno questo è l’auspicio – più certo l’ambito di applicabilità della norma. Inoltre, non rileva che le attività siano svolte con modalità commerciali oppure no, in quanto comunque l’organizzazione non perderebbe la qualifica di ente del terzo settore qualora realizzasse anche in via prevalente attività commerciali.

Inoltre ci si augura che avranno maggiore respiro le attività diverse (che verranno definite da apposito decreto), in considerazione del triste destino delle attività connesse della norma Onlus. Diciannove anni di legge Onlus, infatti, non hanno chiarito la vera natura di tali attività e agli enti veniva sconsigliato avventurarsi nelle tipologie di attività il cui svolgimento in via prevalente avrebbe fatto perdere la qualifica di Onlus.

Di contro, gli enti del terzo settore perdono – rispetto alle Onlus – la presunzione assoluta di non commercialità (in relazione all’Ires) delle attività istituzionali e la non concorrenza alla formazione del reddito imponibile delle attività connesse. Infatti, gli enti del terzo settore saranno assoggettati all’Ires qualora l'attività sia definibile commerciale secondo i criteri precedentemente richiamati. La riforma comunque riporta la possibilità per gli Ets di optare per un regime di calcolo forfettario dell’imposta che prevede tre scaglioni di ricavi ai quali corrispondono tre coefficienti di redditività cui applicare l’aliquota unica Ires.

AdA

fonte Sole24Ore 153/17 CM

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Promossa la ricerca per sviluppare l’industria sostenibile: da Horizon 2020 nuovi finanziamenti

Promossa la ricerca per sviluppare l’industria sostenibile: da Horizon 2020 nuovi finanziamenti

Alla sostenibilità industriale il programma Horizon 2020 ha destinato per il prossimo anno 211 milioni di euro. Sono nove gli inviti aperti, su un totale di diciannove, tutti lanciati lo scorso 31 ottobre e destinati a Pmi e università europee. Le scadenze sono fissate per il 23 gennaio e il 22 febbraio prossimo. I finanziamenti rivolti alle Pmi sono quelli che sostengono azioni innovative (Innovation action) e coprono il 70% dei costi ammissibili. Invece le università possono presentare progetti di ricerca e innovazione (Research and innovation action) e in questo caso ottenere un finanziamento pari al 100% dei costi.

Quattro i filoni tematici: il primo riguarda lo sviluppo di processi di sostenibilità industriale. L’obiettivo è quello di contribuire a rafforzare ulteriormente la leadership globale dell’industria europea attraverso una combinazione di tecnologie innovative ed ecocompatibili, ridurre al minimo il consumo di risorse energetiche e di rifiuti per sostenere lo sviluppo dell’economia circolare e combattere il cambiamento climatico. I tipi di industrie a cui si rivolge questa azione - e che possono quindi presentare progetti - sono in particolare quelle che hanno un impatto con l’ambiente, ossia le industrie della ceramica, quelle che trattano prodotti chimici, minerali, metalli non ferrosi, acciaio. Questi settori industriali sono caratterizzati da un’alta dipendenza dall’energia nelle loro tecnologie di produzione e trasformazione. Verranno finanziati quindi progetti in grado di ridurre al massimo questa dipendenza.

Otterranno sostegno – in secondo luogo - i progetti che puntano a catalizzare l’economia circolare, ossia procedere alla sostituzione progressiva dei prodotti derivati da combustibili fossili per decarbonizzare i processi industriali. Le attività dovranno contribuire a rendere l’economia circolare una realtà grazie a processi industriali più efficienti e sostenibili.

Produrre energia pulita tramite materiali innovativi e studiare specifiche tecnologie di produzione di energia, nonché soluzioni di stoccaggio energetico, basate su materiali avanzati e nanotecnologie, in linea con la comunicazione della Commissione europea sull’accelerazione dell’innovazione energetica pulita. Questo il terzo ambito che verrà finanziato. Quindi un sostegno per ricerca sui nuovi materiali per l’immagazzinamento di energia e per la produzione di energia sostenibile. E per finire il settore delle costruzioni, che ha un impatto cruciale sul consumo di energia e sulle emissioni di carbonio nell’Unione europea. L’obiettivo è decarbonizzare il parco immobiliare dell’Ue entro il 2050: dagli edifici a energia quasi zero ai distretti a energia positiva.

AdA

fonte Sole24Ore 311/17

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Radioprotezione dei lavoratori: aggiornata la UNI EN ISO 20553

Radioprotezione dei lavoratori: aggiornata la UNI EN ISO 20553

In vigore dal 9 novembre la norma UNI EN ISO 20553:2017 sul Monitoraggio dei lavoratori esposti per motivi professionali al rischio di contaminazione interna da materiale radioattivo.

La norma specifica i requisiti minimi per la progettazione di adeguati programmi di monitoraggio dei lavoratori esposti al rischio di contaminazione interna da sostanze radioattive e stabilisce i principi per lo sviluppo di traguardi e requisiti compatibili per detti programmi di monitoraggio.

Recepisce lo standard ISO 20553:2006: Radiation protection -- Monitoring of workers occupationally exposed to a risk of internal contamination with radioactive material, e sostituisce la precedente UNI del 2009.

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