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Fonti rinnovabili, lo step del 50% slitta al 2018 In evidenza

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isolamento-termicoIl decreto Milleproroghe (Dl 244/2016) - pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 30 dicembre 2016 e attualmente all’esame del Parlamento per la conversione in legge - prevede lo slittamento di un anno dei termini del Dlgs 28/2011, cioè di quella norma che fissava al 1° gennaio 2017 l’obbligo, in caso di nuove costruzioni o ristrutturazioni importanti, di portare al 50% (da un precedente 35%) la percentuale di copertura dei consumi per riscaldamento, raffreddamento e acqua calda sanitaria attraverso fonti rinnovabili. La nuova data da segnare come traguardo è, dunque, il 1° gennaio 2018.  «Un posticipo a metà - commenta Matteo Serraino, Ege o Esperto in Gestione dell’Energia per Manital, azienda attiva nel facility management -. Perché il 28/2011, in realtà, oltre a prescrivere l’obbligo di una percentuale di copertura da rinnovabili dei consumi per la climatizzazione invernale ed estiva e per scaldare l’acqua sanitaria, parla di un incremento, a partire dal 1° gennaio 2017, della potenza di impianti elettrici alimentati da fonti rinnovabili. E, su questo punto, il Milleproroghe non si è espresso».

La regola discende dal Dlgs 28/2011, varato sei anni fa e che, a sua volta, recepisce la direttiva comunitaria 2009/28/CE. Riguarda tutte le nuove costruzioni, i fabbricati demoliti e ricostruiti, quelli con una ristrutturazione completa di involucro, qualsiasi sia la destinazione d’uso ed è cogente, pena il mancato rilascio del permesso di costruire. Percentuali ancora più performanti per gli edifici pubblici.

L’entrata in vigore è avvenuta per step: da una copertura minima iniziale dei consumi da rinnovabili del 20% si è passati poi al 35%. Dal 1° gennaio 2017 si sarebbe dovuti salire al 50%, ma il Milleproroghe ha rinviato questo passaggio al 1° gennaio 2018.
«Rispetto a quanto previsto in precedenza - prosegue Serraino - questo decreto ha comportato comunque una rivoluzione per il settore. Se negli anni Novanta si faceva solo riferimento alle rinnovabili per gli edifici pubblici e in quelli Duemila l’obiettivo era la produzione di acqua calda sanitaria con fonti rinnovabili, dopo la normativa comunitaria del 2009 tutto è cambiato».

La produzione pulita, infatti, deve essere garantita in loco, con un intervento strutturale: non vale acquistarla in rete. Ciò comporta che, sotto l’aspetto delle tecnologie impiegate, per garantire la climatizzazione invernale/estiva e l’acqua calda sanitaria da rinnovabile (comunque anche oggi, con un limite fissato al 35%) gli edifici nuovi o ristrutturati devono essere dotati di pannelli solari termici, pompe di calore, caldaie a biomassa. Per ciò che riguarda l’elettrico, il decreto non parla esplicitamente di fotovoltaico, ma questa è la tecnologia cui, implicitamente, si fa riferimento. Nel determinare la quota di elettricità minima garantita da fonte rinnovabile si parla, infatti, di un minimo di potenza installata in rapporto alla superficie di copertura del fabbricato.

Per ciò che riguarda, infine, le deroghe, per chi è allacciato a una rete di teleriscaldamento sono previste per la produzione di acqua calda e climatizzazione. Resta però l’obbligo sul fronte dell’elettricità. Le percentuali di copertura dei consumi per gli usi termici sono invece ridotte della metà nei centri storici, dove è oggettivamente più difficile installare sistemi rinnovabili. Infine, in caso di impedimenti accertati e comprovati da una relazione tecnica (se, ad esempio, nel fabbricato non c’è oggettivamente spazio per installare una pompa di calore), l’edificio deve però dimostrare di ridurre i consumi con interventi di efficienza energetica. Nel caso peggiore, cioè a fronte dell’impossibilità totale di installare un sistema rinnovabile, occorre tagliare del 50% i consumi rispetto agli obblighi minimi di legge. Come dire: obbligatorio puntare sull’involucro.

AdA

fonte Sole24Ore 36/17 SR e MCV