Il 7 aprile è stato approvato dal Consiglio dei ministri il decreto che recepisce la direttiva 2008/99/Ce sulla tutela penale dell’ambiente ed estende agli illeciti ambientali la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e degli enti (DecretoLegislativo231_2001 ).
La responsabilità amministrativa degli enti per alcune tipologie di reati commessi nell’interesse o a vantaggio degli stessi da dipendenti o amministratori è ormai istituto conosciuto e oggetto di frequenti interventi giurisprudenziali. In caso di violazione, le sanzioni sono ingenti: misure pecuniarie, di confisca e interdittive. La responsabilità amministrativa può essere evitata solo attraverso la predisposizione di specifici modelli organizzativi aziendali. Ora anche i reati ambientali sono inclusi nell’ambito di applicazione del Dlgs 231/01.
La delega era ambiziosa (si veda anche «Il Sole 24 Ore» del 6 giugno 2010). Per un verso, prevedeva il recepimento della direttiva europea sulla tutela penale dell’ambiente, con l’introduzione di specifiche condotte illecite ambientali; per altro verso, ne disponeva il coordinamento con il Dlgs 231/01.
La scelta effettuata in sede di attuazione è stata la più semplice. Non si è riorganizzato in modo sistematico il sistema sanzionatorio penale ambientale, cercando di trovare un equilibrio tra gradazione dell’elemento soggettivo del reato e obbligo di vigilare sui dipendenti e sottoposti. Sono stati invece introdotti due nuovi reati ambientali nel Codice penale, sul presupposto che tutte le altre condotte individuate nella direttiva siano già sanzionate. Gli altri reati a tutela dell’ambiente sono diventati “reati presupposto”, con un’importante precisazione: non si è fatta distinzione tra delitti e reati contravvenzionali, con tutte le conseguenze che ne derivano (prescrizione, oblazione, punibilità a titolo di dolo e di colpa, eccetera). Questi i due nuovi reati: il primo (articolo 727 bis) è rubricato «uccisione, distruzione, cattura, prelievo o possesso di esemplari di specie animali o selvatiche protette» ed è certamente di minimo impatto per le attività produttive. Il secondo è finalizzato a rendere concreta ed efficace la tutela dei siti protetti comunitari della rete “natura 2000?: chiunque «distrugge o comunque deteriora in modo significativo un habitat all’interno di un sito protetto è punito con l’arresto fino a 18 mesi e con l’ammenda non inferiore a 3mila euro» (nuovo articolo 733 bis). Si tratterà di comprendere i contorni della condotta rilevante. Se con “habitat” si intendono tutti gli elementi ambientali, cioè sottosuolo, falde acquifere, suolo, acque superficiali e atmosfera, potrebbe essere stata introdotta una fattispecie di reato collegata esclusivamente al fatto di aver effettuato una contaminazione, seppure in zone limitate (quelle protette dalla rete europea “natura 2000?). Se così fosse, nei siti protetti comunitari la conservazione della natura assumerebbe connotati maggiormente incisivi rispetto alle altre zone protette dal diritto interno (parchi nazionali e regionali) che non godrebbero di tale protezione dall’ordinamento penale.
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