I MICRORGANISMI

Nel corso della descrizione di un piano HACCP nei suoi punti salienti ci siamo ripetutamente imbattuti nella parola pericolo, con la quale per definizione deve intendersi qualsiasi agente microbiologico, fisico o chimico tale da poter ingenerare effetti nocivi per la salute. Questa espressione è decisamente vaga e omnicomprensiva; oltre ai pericoli legati all'uso in casa di impianti elettrici, di prodotti combustibili, etc., tutti causa peraltro di numerosissimi incidenti domestici, non va sottaciuto la rilevanza del rischio, spesso fortunatamente non letale, di natura microbiologica.
Visto la diffusa e comprensibile, diffidenza nei confronti di una disciplina, la microbiologia, che verte su un universo così difficilmente approcciabile, vale la pena di spendere qualche parola sui batteri o microbi, questi sconosciuti nemici-amici che sembrano così distanti, ma che di fatto sono sempre con e in noi.
I microbi, come si può peraltro evincere dall’etimologia stessa della parola sono organismi unicellulari, ovvero costituiti di un'unica cellula, invero costituzionalmente addirittura più semplice di quelle che a centinaia di milioni costituiscono ad esempio il corpo umano, e sono così minuscoli, microscopici per l’appunto, da risultare invisibili ad occhio nudo. Basti pensare che occorre ingrandirli di ben cento volte per vederli piccoli, piccoli come un puntino di matita.
A dispetto delle loro dimensioni i batteri hanno delle potenzialità di sopravvivenza assolutamente sorprendenti, non c’è un ambiente che non siano stati in grado di colonizzare, dai depositi metanigeni alle più sofisticate conserve alimentari. Al di là di habitat estremi, i microrganismi trovano l’ “optimum” per la propria sopravvivenza e moltiplicazione a temperature comprese tra i 30 ed i 37°; sul corpo umano trovano, ad esempio, le condizioni di umidità, temperatura e nutrimento più consone e di fatto sono presenti sulla cute, nel cavo orale, nel naso, nel tratto intestinale etc. etc.  ben un terzo del peso secco delle nostre feci è costituito da batteri!
Chiariamo poi perché qualche rigo addietro abbiamo usato l’espressione nemici-amici parlando dei batteri. Ebbene, a fronte di contaminazioni, adulterazioni e patologie più o meno gravi a carico dell’uomo e degli animali, bisogna riconoscere che i microrganismi sono per tanti versi talmente utili da risultare addirittura indispensabili per la vita sulla terra. E’ grazie ad esempio al ruolo di tutti i batteri decompositori che i materiali organici di scarto, dagli animali e piante morte ai più familiari rifiuti urbani, vengono riconvertiti in metaboliti semplici in grado di essere utilizzati nuovamente completando il prodigioso ciclo del carbonio, dell’azoto, dello zolfo, in breve della vita.
In quest’ottica di così largo respiro si colgono poi una serie di sfumature di importanza senza dubbio non secondaria: per effetto di questa opera di decomposizione a carico dei detriti si è accumulato il metano ed altri combustibili, si producono le fibre per macerazione di piante tessili, i fertilizzanti tipo compost e probabilmente migliaia di altri prodotti. Ma ancora, sono i batteri, quelli in grado di digerire la cellulosa, consentendo l’assunzione di principi nutritivi dalle erbe in animali come i bovini, altrimenti incapaci di sopravvivere con un regime alimentare essenzialmente a base di fibre; sono sempre i microrganismi a garantire le fermentazioni necessarie alla trasformazione di latte in youghurt e formaggi, di farina in pane lievitato, di mosti zuccherini in bevande come vino, birra e raffinato champagne.
Il portentoso ventaglio di attività di cui sono capaci i batteri li rende però nemici agguerriti per tutta una serie di attività antropiche. Oltre le molteplici malattie di cui sono diretti responsabili, dalla  fastidiosa, ancorché generalmente inoffensiva, “diarrea del viaggiatore” a patologie enormemente più gravi, come tifo, colera, tubercolosi etc., i microbi, possono contaminare cibi e bevande e nella loro attività decompositiva aggredire prodotti utili adulterandoli in modo generalmente irreversibile.

L’INVASIONE DOMESTICA
In un contesto domestico, immaginando anche la più scrupolosa delle massaie costantemente impegnata nella difesa igienica delle proprie mura, coabitano con gli umani un numero di microrganismi che cautelativamente possiamo solo definire spropositato.
Il punto è: come entrano quotidianamente questi ospiti silenti e indesiderati nelle nostre case? L’aria e l’acqua sono di per sé degli ottimi veicoli di diffusione, ma da soli non bastano a giustificare l’entità delle contaminazioni “indoor”, il grosso del lavoro lo facciamo evidentemente noi.
Pur immaginando di rientrare una sola volta al giorno e di non portare in casa né frutta, né verdura né alimenti inscatolati, che ancorché sterili nel contenuto sono decisamente contaminati nel loro involucro esterno (per i “passaggi di mano” cui sono fisicamente sottoposti), va detto che bastiamo noi a garantire uno spaventoso apporto di microrganismi.
Nonostante, infatti, l’innegabile progresso nei costumi igienici delle società avanzate, basti pensare all’esponenziale aumento dei consumi idrici solo dell’ultimo secolo, siamo ancora poco autorizzati a definirci puliti in senso stretto.

MANI
Un esempio: partiamo dalle mani. Le nostre innocenti manine soffiano il naso, grattano la testa, allacciano scarpe, vanno in bagno, aprono e chiudono porte, stringono altre mani più o meno pulite e a ogni uso raccolgono e cedono microbi. Già negli anni trenta, un medico Philip Price dimostrò che le mani cosiddette pulite sono comunque un ricco ricettacolo di batteri. Nel suo esperimento preparò 14 vaschette contenti acqua tiepida sterile e in ognuna si lavò le mani con il sapone per circa un minuto. Al termine dell’operazione, dopo cioè ben 14 minuti di lavaggio scoprì che finanche l’ultima vaschetta era stata contaminata e che, sommando le quantità di batteri presenti in ogni vaschetta, sulle sue mani prima dell’abluzione erano presenti circa 4 milioni di batteri. L’affinamento delle tecniche di laboratorio non ha smentito il dato, ma anzi studi successivi hanno provato che su una sola mano possono esserci anche duecento milioni tra batteri, virus e funghi.
In realtà i batteri presenti sulle mani sono per lo più saprofiti non dannosi che affollando l’area impediscono ad altri batteri più pericolosi di colonizzarla. In quantità abnormi però possono causare malattie, lo stafilococco aureo, ad esempio, è un inquilino fisso del naso di una persona e in occasione di un raffreddore è facile trasferirlo massivamente sulle mani dove in cospicue proporzioni può tornare decisamente pericoloso. Orbene il raffreddore è un evento fortunatamente sporadico, ma ci sono altre pratiche, necessariamente quotidiane, che sortiscono un effetto similare; quando in bagno si usa la carta igienica inevitabilmente si trasferiscono coliformi fecali, che vivono benissimo anche al di fuori dell’intestino, dalla zona intorno all’ano e ai genitali alla mano. Se le mani quindi non vengono lavate con la dovuta cura i batteri restano lì a proliferare, contaminando tutto quello con cui si entra a contatto. Immagino che qualunque lettore in questo momento stia tirando un sospiro di sollievo, pensando confortato “io le lavo!”
Consci dell’esperienza di Price, tuttavia, una breve digressione su come lavare le mani si rende necessaria: una sciacquatina veloce, seppur con acqua saponata, evidentemente non basta. Il contatto con il sapone dissolve i cuscinetti di grasso normalmente presenti sulle mani esponendo i microrganismi in esso annidati; ma affinché i virus vengano “devitalizzati” per distruzione dell’involucro proteico che li circonda, e lieviti e batteri letteralmente imbrigliati dall’onda saponata è necessario perpetrare il lavaggio per almeno 15 secondi: statisticamente solo così si elimina fino al 95%  degli organismi presenti. Attenzione va posta anche alla qualità degli asciugamani, in mancanza di salviette pulite o dell’asciugatore ad aria meglio la carta igienica. Tutto questa scrupolosità poi è ovviamente inutile se dopo si usano le mani pulite per tirare lo sciacquone o per toccare la maniglia della porta, specie se ci si trova in un bagno pubblico.

SCARPE
Se le insidie nascoste in un palmo di mano vi sono sembrate notevoli, cosa pensare di qualcosa visto già tradizionalmente come sudicio: le scarpe. E’ normale che le suole delle scarpe, dopo una giornata passata tra strade, uffici e marciapiedi siano “sporche”, il meccanico trasferimento sul pavimento non arreca grossi problemi, perché il contatto con questo settore della casa è generalmente circostanziato. Se tuttavia avete l’abitudine di sprofondarvi sul divano di casa a gambe per aria o peggio c’è un bimbo in casa , che generalmente instaura un contatto più stretto con i pavimenti o ancor peggio che gattona, togliere le scarpe appena si rientra diventa senz’altro un’abitudine da sposare.

Questo discorso può essere portato avanti per il resto del vestiario: pantaloni a contatto di panchine e sedili non sempre candidi, soprabiti e cappotti riposti in guardaroba traboccanti di indumenti appartenenti a sconosciuti e così via.
Ricordiamo ora che a monte di questo discorso c’erano due semplificazioni di base: che si rientrasse una sola volta al giorno e che non si importassero prodotti dall’esterno. Intuitivamente, nel momento in cui viene meno il primo assunto, la sola ricaduta pratica è che quanto detto finisce per amplificarsi in termini di quantità di germi importati e varietà dei medesimi, in relazione alla diversità di ambienti con cui si è entrato in contatto “outdoor”. Più complesso è il caso della miriade di vivande, detersivi, documenti e manufatti vari che introduciamo quotidianamente in casa.
Il problema si amplifica per gravità nel momento in cui, materiali di provenienza ignota e variamente contaminati, vengono incautamente importati in cucina e lasciati sui ripiani o sul tavolo, dove contribuiscono a contaminare superfici, attrezzature e soprattutto eventuali altri alimenti ivi presenti.
Un’insana e sfortunatamente diffusa abitudine consiste nel rientrare in casa, depositare cumuli di “shopping bags”  sui ripiani della cucina e dedicarsi ad altre attività ritenute “prioritarie” prima di provvedere alla ricollocazione degli acquisti. La deposizione di materie prime potenzialmente contaminanti (uova fresche, verdure, frutta e ortaggi, carni e pesci crudi) sui ripiani vanifica anche la più intensa disinfezione. Ma di più, la permanenza, più o meno prolungata, a temperatura ambiente, induce una proliferazione incontrollata di batteri, che la successiva refrigerazione rallenta ma non elimina.
A tal riguardo val la pena di precisare che la conservazione a basse temperature non è una tecnica di risanamento degli alimenti, sulla cui vita in frigo pesa e la durata e il lento ma inarrestabile sviluppo di microrganismi patogeni psicrotrofi (ossia in grado di moltiplicarsi a basse temperature). Listeria monocytogenes, ad esempio, sulla carne cruda raddoppia numericamente in 3,8 ore a +12°C, in 5 ore a +10°C e anche a 8°C risulta in grado di moltiplicarsi, con un tempo di generazione di circa 8 ore. Per cui, se si sommano il tempo impiegato nel trasporto, il tempo di permanenza in cucina e il tempo comunque necessario in frigo affinché la temperatura di conservazione arrivi sino al cuore del prodotto, il processo deve destare qualche preoccupazione, che diventa rischio, nell’accezione descritta in un’analisi HACCP, nel momento in cui, tornando all’esempio della carne, la si destina alla preparazione di piatti a cottura limitata (carpaccio, roast-beef, etc.), dove il necessario compromesso tra effetto biocida e conservazione delle caratteristiche della pietanza lascia pochi margini di tolleranza.
In conclusione va però detto che, anche se per creare un potenziale pericolo basta un patogeno (germe capace di provocare malattie in una persona sana), il nostro organismo è allenato a difendersi perché abituato a questo tipo di “relazione pericolosa”.
Non possiamo dichiarare guerra totale allo sporco, altrimenti rischiamo di turbare un equilibrio naturale: difendiamoci allora ma senza esagerare! Il rischio zero non esiste.
Mettiamoci l’animo in pace: una scrupolosa pulizia può solo ridurre al minimo la contaminazione. E ricordiamo che, anche se contaminato, un alimento non provoca inevitabilmente una malattia.

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