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News

Seminario Marcatura CE

 

Alla Camera di Commceercio di Napoli, in via S. Aspreno 2, il 23 giugno si terrà un seminario sulla “Marcatura CE e commercializzazione dei prodotti nuove politiche dell’Unione Europea“.
Il seminario si terrà nella sala Brun dalle ore 9.30 di mercoledì 23 giugno.
Interverranno: Santo Vittorio Romano Direttore Unioncamere Campania,  Attilio Montefusco Direttore Consorzio Promos Ricerche, Raffaele D’Angelo Coordinatore CON.T.A.R.P. Direzione Regionale Campania – INAIL – Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione, Massimiliano Faiella – ISPESL – Istituto Superiore Prevenzione e Sicurezza sul Lavoro.
Si parlerà di Sicurezza dei cittadini: Accreditamento e sorveglianza del mercato (Reg. CE 765/08) e commercializzazione dei prodotti (Decisione CE 768/08), Sicurezza delle macchine: cosa cambia con l’entrata in vigore della Direttiva 2006/42/CE, recepita a livello nazionale con il Dlgs. 17/2010. Arricchiranno il dibattito testimonianze delle CCIAA campane e testimonianze Aziendali, fino alla discussione sulle novità che potrebbero essere introdotte dalla Commissione UE sulla base della Decisione 768/08.
Al termine dei lavori saranno somministrati questionari.

Nasce in Asia la città ideale

 

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Dharavi è la più grande baraccopoli indiana. Rifiuti, abitazioni improvvisate, sovrappopolazione. Eppure le vicine discariche di Mumbay (ex Bombay) sono diventate una risorsa. Secondo l’Onu migliaia di persone a Dharavi lavorano in circa 400 unità per il riciclo: scavano tra gli scarti, selezionano i residui, recuperano i materiali. Circa 15mila piccole imprese sono impegnate nella produzione di accessori e giocattoli a partire da plastiche, legno e metalli trovati nelle discariche. La sostenibilità diventa una chiave per lo sviluppo locale in un’area apparentemente priva di risorse.
Ma in India aziende e ricercatori hanno risposto alle esigenze locali e sociali con tecnologie “verdi” ad hoc. Non hanno strutture fognarie 730 milioni di persone: è un’emergenza sanitaria soprattutto nei centri urbani. L’imprenditore Bindeshwar Pathak ha inventato le «Sulabh toilet»: bagni pubblici che recuperano le evacuazioni umane. Batteri metanigeni trasformano i liquami in biogas, mentre le urine raccolte, ricche di fosfati, diventano fertilizzante per i terreni. Finora Pathak ha costruito 160 impianti per la produzione di gas dai rifiuti delle toilette. A Dacca (Bangladesh) un’organizzazione non profit, Ashoka, ha lanciato il programma «Waste concern»: gli addetti alla raccolta nelle discariche ricevono uno stipendio per portare materiali utili nei centri di riciclaggio. In cinque anni hanno trasformato 125mila tonnellate di scarti in fertilizzante.
Dal 2030 il 60% della popolazione mondiale vivrà nelle città, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. E oggi un miliardo di persone abita in baraccopoli o favelas. È il mercato di chi vive «alla base della piramide»: secondo la Banca Mondiale vale 5mila miliardi di dollari. Le frontiere di ricerca imprenditoriale, l’attenzione per l’ecologia e le prospettive di pianificazione urbana si intrecciano a partire dai bisogni del territorio. «Nonostante la sofisticazione del just-in-time e l’efficienza delle catene di approvvigionamento, solo il 10% degli input materiali mobilitati dalla società industriale viene condensato nei prodotti che consumiamo. Il restante 90% è sprecato, finisce in discarica o in mare», osserva Gunter Pauli, direttore dello Zeri Institute, un centro di ricerca impegnato in progetti a basso impatto ambientale. L’obiettivo di Pauli è minimizzare la generazione di scarti modificando gli ecosistemi produttivi: come nelle baraccopoli, i rifiuti diventano input al l’interno di una filiera integrata che li valorizza. In che modo? A partire dal design sistemico: «Bisogna ispirarsi all’ambiente: qualsiasi cosa funzioni bene in natura è sostenibile. Occorre utilizzare materiali localmente disponibili e cercare connessioni alternative esplorando le caratteristiche biochimiche».
Una trasformazione sistemica che supera i confini dei paesi in via di sviluppo e che coinvolge tutte le città. Partendo comunque necessariamente da un approccio integrato che, come sottolinea questo rapporto, deve affrontare tutti gli aspetti della convivenza urbana, dalla mobilità all’energia, dai servizi all’alimentazione e ai rifiuti [...].

Un percorso per la competitività

 

compet: Un percorso per la competitività. Grande l’impegno profuso dalle Istituzioni europee per l’attestazione della Rsi. Di Attilio Montefusco, direttore Consorzio Promos Ricerche e Lucia Briamonte, ricercatrice Inea – Istituto Nazionale di Economia Agraria.
Che la responsabilità sociale d’impresa, (Rsi o Corporate Social Responsibility, Csr) costituisca “la strada maestra” per la competitività delle imprese è ormai opinione diffusa. A questo hanno contribuito sia lo sforzo iniziale delle Istituzioni europee, sia una letteratura economica sempre più estesa quantitativamente e qualitativamente; l’ultima tendenza è l’evoluzione naturale da Responsabilità Sociale d’Impresa a Responsabilità Sociale d’Organizzazione, come riportato nel D.lgs. 81/08 come ” l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle aziende e organizzazioni nelle loro attività commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate” estendendo, così l’area d’interesse a qualsivoglia sistema socio-economico.
L’impresa socialmente responsabile si manifesta attraverso comportamenti improntati al rispetto dell’ambiente e dei lavoratori, offrendo un contesto lavorativo più sicuro e motivante, assicurando una riduzione dei rischi aziendali e garantendo un elevato standard qualitativo dei propri processi e prodotti.
La RSI nell’Agricoltura
Quello della responsabilità sociale d’impresa (Rsi) è un tema che, negli ultimi anni, ha interessato in modo crescente il sistema agroalimentare.
Da sempre, quest’ultimo manifesta una vocazione naturale e un elevato grado di sensibilità rispetto alle tematiche della salute, sicurezza alimentare, tutela dell’ambiente e del territorio.
Nello stesso tempo, i consumatori iniziano a richiedere maggiori informazioni sul prodotto, sviluppando una crescente sensibilità verso produzioni socialmente responsabili, sostenibili sotto il profilo ambientale, ma soprattutto caratterizzate da livelli crescenti di sicurezza e salubrità. Questa nuova attitudine da parte dei consumatori ha portato al riconoscimento del valore della tipicità delle produzioni e alla conseguente tutela delle produzioni locali e del territorio.
In breve, i temi della responsabilità sociale costituiscono un’opportunità di crescita aziendale, che alcune imprese nel settore agroalimentare hanno cercato di cogliere rispondendo alla crescente domanda dei consumatori e adottando, nell’ambito delle proprie strategie e attività, pratiche di responsabilità sociale. La RSI consente all’impresa agroalimentare di differenziare il proprio prodotto attraverso l’acquisizione di caratteristiche distintive riconosciute e richieste dal consumatore, sebbene le buone pratiche in questo senso presentino talvolta difficoltà di implementazione.
Nonostante ciò, l’adozione di pratiche socialmente responsabili non appare ancora consolidata nell’ambito di una visione strutturale e strategica nell’azione dell’impresa agroindustriale. Tale comportamento, infatti, incontra difficoltà da ricondursi prevalentamente alla struttura produttiva del settore, composta in prevalenza da imprese di piccola e media dimensione.
Seppure la responsabilità sociale costituisca un tema importante, l’adozione di comportamenti socialmente responsabili sembra dipendere ancora da dimensioni soggettive, dalle sensibilità e dalle esperienze individuali dei singoli imprenditori. In altri termini, il sistema agroalimentare italiano offre esempi di eccellenza sia tra le grandi che le tra piccole imprese, ma la RSI non risulta essere adottata su scala ampia o in modo pienamente consapevole da tutte.
Inoltre, alcuni degli strumenti tradizionali che si inseriscono in un processo di responsabilità sociale, quali il bilancio sociale, il bilancio ambientale e il bilancio di sostenibilità, sono maggiormente indicati per realtà imprenditoriali di maggiori dimensioni e non tengono conto delle specificità del settore agroalimentare.
Viceversa per le piccole e medie imprese un approccio più realistico può essere orientato all’attivazione di sistemi gestionali proiettati a superare il mero rispetto delle leggi, delle prescrizioni minime e degli obblighi giuridici, al fine di dare una più esaustiva risposta alle esigenze dei vari “stakeholder” (portatori di interesse nei confronti delle imprese) utilizzando gli strumenti normativi disponibili:
- Sa 8000, standard di certificazione riguardante: lavoro infantile, salute e sicurezza sul lavoro, libertà di associazione e rappresentanza sindacale, oltre a salvaguardare tutti i diritti dei lavoratori.
- Iso 26000, linea guida che integra un comportamento socialmente responsabile nelle strategie, nei sistemi, nelle pratiche e nei processi di un organizzazione.
- Uni En Iso 9001, Sistema di Gestione della Qualità, che dimostra la capacità di un Organizzazione di fornire prodotti e servizi conformi a determinati standard e finalizzato ad accrescere la soddisfazione del cliente.
- Uni En Iso 14001, Sistema di Gestione Ambientale, in grado di dimostrare l’impegno nel minimizzare l’impatto ambientale dei processi, prodotti e servizi, attestandone l’affidabilità.
- BS OHSAS 18001, Sistema di Gestione Salute e Sicurezza, per rispondere alle normative vigenti ed aiutare le aziende a formulare politiche di prevenzione e salvaguardia della Salute dei Lavoratori;
- Iso 22000 Sistemi di Gestione della Sicurezza nel settore agroalimentare, che consente a tutte le aziende coinvolte nella filiera di identificare i rischi cui sono esposte e di gestirli in modo efficace. La certificazione secondo tale norma fornisce efficaci strumenti per comunicare con gli stakeholder; si tratta di un elemento particolarmente importante per dimostrare l’impegno di un’azienda nei confronti della sicurezza alimentare nel pieno rispetto dei requisiti di Corporate Governance, Responsabilità Sociale d’Impresa e Bilancio di Sostenibilità.
Il percorso dell’INEA
In tale contesto, l’Inea ha portato avanti, sin dal 2005, alcuni progetti finalizzati allo studio della responsabilità sociale e alla sua diffusione nel sistema agroalimentare. Il raggiungimento dei traguardi fissati dall’Inea ha permesso di creare una solida piattaforma conoscitiva sulla responsabilità sociale nel sistema agroalimentare. Gli studi condotti hanno portato all’elaborazione di tre volumi sulla Rsi nel settore agricolo e agroindustriale, nonché un modello di percorso di responsabilità sociale in grado di cogliere le specificità del sistema e della dimensione delle singole imprese.
Le specificità del settore, allo sviluppo nella prima fase dell’attività, alla messa a punto da parte dell’Inea, di un insieme articolato di strumenti a favore delle imprese e degli operatori del settore:
- le Linee Guida “Promuovere la responsabilità sociale delle imprese agricole e agroalimentari”;
- i casi studio “Le esperienze italiane sulla responsabilità sociale”;
- il volume “La responsabilità sociale per le imprese del settore agricolo e agroalimentare”;
- un sito internet dedicato (www.agres.inea.it);
- un’attività di divulgazione a livello nazionale e internazionale.
In particolare, l’attività svolta ha portato alla realizzazione delle linee guida di settore a favore delle imprese e degli operatori del settore, con lo scopo di favorire l’adozione di procedure socialmente responsabili per le imprese del sistema agroalimentare. L’elaborazione delle linee guida ha tenuto conto della complessità del sistema agroalimentare e, in particolare, della pluralità degli ambiti di intervento, della tipologia produttiva, delle differenti classi dimensionali delle imprese (micro, piccola, media e grande) e dei diversi gradi di concentrazione (cooperative, consorzi, associazioni, ecc.). Le specificità del sistema agroalimentare sono attualmente oggetto di ulteriore analisi con riferimento a tre temi nodali: i rapporti di filiera, il consumo responsabile e i metodi di produzione sostenibile.
Il Consorzio Promos
La Camera di Commercio IAA di Napoli, impegnata a promuovere il potenziamento della struttura imprenditoriale locale, ha aderito al progetto CSR di Unioncamere dal 2005, attuando un progetto di sensibilizzazione delle PMI con l’attivazione di un servizio di informazione e di assistenza per la promozione della Rs per dare alle imprese ulteriori opportunità di sviluppo. La realizzazione e attivazione dello sportello è stata affidata al Consorzio Promos Ricerche, che in collaborazione con gli Enti Normatori UNI e CEI, sta sviluppando un puntuale servizio informativo.
Partenariati
Alla luce di tali considerazioni e dell’impegno del Consorzio Promos Ricerche nell’attività di sensibilizzazione e assistenza alle imprese sul territorio, diviene naturale e concreta la volontà di promuovere in maniera più strutturata la diffusione della cultura della responsabilità sociale nel sistema agroalimentare campano. In particolare, questa volontà si traduce nella formulazione di due obiettivi generali:
1.dotare le imprese campane dei requisiti di “qualità” del prodotto e, di conseguenza, di un vantaggio competitivo;
2.effettuare degli studi che consentano di individuare le tendenze evolutive del settore, le specificità di filiera dei comparti più significativi per l’economia campana e le possibili difficoltà nella diffusione delle buone pratiche di RSI.
In questo senso, gli obiettivi appena formulati saranno facilmente raggiungibili attraverso un partenariato che vede: l’INEA provvedere a un’attività di accompagnamento delle imprese del settore nella comprensione e nell’applicazione di metodologie e strumenti della RSI adatti alla propria realtà produttiva attraverso l’applicazione delle sue linee guida e il Consorzio Promos Ricerche mettere a disposizione la sua conoscenza inerente all’implementazione di Sistemi di Gestione delle imprese del territorio regionale acquisita attraverso il lavoro svolto in questi anni.
Questo connubio, infatti, va visto come una buona opportunità per trasferire alle imprese del tessuto locale concetti e metodologie orientate a un percorso che porti a una crescente attenzione per gli aspetti salutistici, sociali ed ecocompatibili delle produzioni agricole.

 

UE, nuove norme in materia ambientale

 

Nuove norme dalla20120109050231 RegioneLaziosaprocedurepisempliciperlerinnovabili Ue in materia ambientale, fra queste spiccano i Raee, il recupero dei rifiuti, la pollina e i rifiuti da attività estrattive.
Raee, il termine ultimo entro il quale i produttori di apparecchi di illuminazione devono comunicare al registro Raee quanto immesso al consumo nel biennio 2007-2008 è il prossimo 30 giugno.  Stesso termine per i produttori di apparecchi elettrici ed elettronici (Aee) che dovranno comunicare al registro i dati relativi a quantità e categorie di apparecchiature immesse sul mercato nel 2009 e i Raee raccolti ed esportati dal 2006 al 2008. I sistemi collettivi dei Raee e i singoli produttori di apparecchiature non aderenti a tali sistemi invece, dovranno comunicare al registro i dati relativi al peso dei Raee raccolti (suddivisi tra domestici e professionali), esportati, reimpiegati, riciclati e recuperati nel 2009.
Per il recupero dei rifiuti si modifica il Dm 5 febbraio 1998 (allegato 1, suballegato 1, punto 13.6.3) stabilendo che per le attività di recupero relative alla formazione di rilevati e al riutilizzo per recuperi ambientali, il test di cessione per i gessi da acidi organici, non richiede più il parametro «Cod» (domanda chimica di ossigeno).
Per la pollina, si modifica la legge 205/2008 e diventano sottoprodotti, previa autorizzazione dell’autorità competente, le deiezioni e le lettiere da allevamenti avicoli destinati alla combustione nel medesimo ciclo e disciplinata dalla parte quinta del Codice ambientale.
In ordine ai rifiuti da attività estrattive (Dlgs 117/2008), gli «inerti» per essere tali dovranno rispettare i criteri di caratterizzazione stabiliti nel nuovo allegato III-bis. L’arsenico diventa una delle sostanze scriminanti. In seguito, il ministero dell’ambiente dovrà stilare una lista positiva di rifiuti inerti.
Tra le direttive da recepire spicca la 2008/99/Ce sulla tutela penale dell’ambiente, che ai suoi articoli 6 e 7 contempla la responsabilità delle persone giuridiche come strumento di cui il sistema penale degli stati membri deve dotarsi per attuare una efficace protezione dell’ambiente. I criteri di delega prevedono la modifica del Dlgs 231/2001 con l’inserimento delle fattispecie criminose di cui alla direttiva e la previsione di sanzioni amministrative pecuniarie e interdittive, adeguate e proporzionate, la confisca e la pubblicazione della sentenza. Il tutto, nell’osservanza dei principi di omogeneità ed equivalenza rispetto alle sanzioni già previste per fattispecie simili, e comunque nei limiti massimi previsti dagli articoli 12 e 13 del Dlgs 231/2001. Analoghi criteri di delega sono dettati per recepire la direttiva 2009/123 sull’inquinamento provocato dalle navi.
Sul fronte energetico si segnala la delega (priva di criteri) per la direttiva 2009/29 che perfeziona il sistema di scambio di quote di CO2 e il fatto che gli impianti per produzione di energia con capacità non superiore a 1 Mw, alimentati da fonti rinnovabili, saranno soggetti a Dia.

NON LASCIAMOCI CONSUMARE DALLA SOCIETA’ DEI CONSUMI!
Lo sviluppo tecnologico negli ultimi decenni ci ha indubbiamente migliorato la qualità della vita, ma ci ha anche imposto svantaggi e ritmi frenetici. La produzione di rifiuti tecnologici provoca l’immissione nell’ambiente di sostanze tossiche (piombo, mercurio, cadmio, zinco, bromo) ed è oggi in costante aumento. Ad esempio se negli anni ’70 i computer avevano una vita media di 10 anni, oggi durano meno di 4 anni; considerando che il monitor di un computer o di un televisore contiene circa 2 kg di piombo c’è davvero di che preoccuparsi!
Col passar del tempo, molti sono gli spazi lavorativi che perdono in funzionalità, sicurezza e salubrità trasformandosi in veri e propri cimiteri di rifiuti tecnologici. Solo in Italia vengono dismesse annualmente più di 700mila tonnellate di RAEE (Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche), circa 12 kg per abitante, che diventano in media circa 20 kg per ogni cittadino europeo.
Eppure è possibile ridurre l’impatto ambientale inserendo più dell’85% dei RAEE in un processo di riciclo, attraverso opportune modalità di ritiro, trasporto, stoccaggio, separazione dei materiali, eventuale riciclo e riutilizzo, smaltimento, il tutto nel rispetto della normativa vigente.
COSA SI INTENDE PER RAEE?
?    Piccoli e grandi elettrodomestici
?    Personal computer, calcolatrici, stampanti, fotocopiatrici
?    Apparecchi radio, televisori , videoregistratori, impianti hi-fi, cineprese
?    Apparecchiature elettromedicali
?    Strumenti e giocattoli elettrici ed elettronici (trapani, videogame, treni e macchine elettrici)
?    Distributori automatici, registratori di cassa
?    Telefoni, fax e cellulari
COSA PREVEDE LA LEGGE E COSA SI RISCHIA?
Le nuove normative sia nazionali che europee obbligano aziende ed enti a smaltire i RAEE prodotti secondo procedure rispettose dell’ambiente e della salute dei cittadini, pena una sanzione pecuniaria. Il D.Lgs 3 aprile 2006 stabilisce che chi detiene o produce RAEE è soggetto a controlli e verifiche da parte di Provincia, ARPA, Guardia di Finanza, Vigili Urbani, Vigili Ecologici, ASL. Ecco alcuni degli obblighi previsti:
?    Individuare il tipo di rifiuti speciali prodotti, attribuendovi l’idoneo codice CER (Codice Europeo Rifiuti)
?    Acquistare, vidimare ed aggiornare con cadenza settimanale un Registro di Carico/Scarico
?    Affidare entro 12 mesi i rifiuti ad aziende autorizzate al ritiro e al trattamento
?    Compilare il MUD (Modello Unico di Dichiarazione ambientale) e consegnarlo alla CCIAA di riferimento entro il 30 aprile di ogni anno

Raee: il principio ‘uno contro uno’

 

I Raee sono Rifiraee tuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche.  La produzione di rifiuti tecnologici provoca l’immissione nell’ambiente di sostanze tossiche (piombo, mercurio, cadmio, zinco, bromo) ed è oggi in costante aumento. In Italia vengono dismesse annualmente più di 700mila tonnellate di RAEE , circa 12 kg per abitante, che diventano in media circa 20 kg per ogni cittadino europeo. Eppure è possibile ridurre l’impatto ambientale inserendo più dell’85% dei RAEE in un processo di riciclo, attraverso opportune modalità di ritiro, trasporto, stoccaggio, separazione dei materiali, eventuale riciclo e riutilizzo, smaltimento, il tutto nel rispetto della normativa vigente (dati Coop. Sociale Altro Sud)
COSA SI INTENDE PER RAEE?
- Piccoli e grandi elettrodomestici
- Personal computer, calcolatrici, stampanti, fotocopiatrici
- Apparecchi radio, televisori , videoregistratori, impianti hi-fi, cineprese
- Apparecchiature elettromedicali
- Strumenti e giocattoli elettrici ed elettronici (trapani, videogame, treni e macchine elettrici)
- Distributori automatici, registratori di cassa
- Telefoni, fax e cellulari
IL PRINCIPIO ‘UNO CONTRO UNO’
Sulla Gazzetta Ufficiale è stato pubblicato il il decreto n.65 dell’8 Marzo 2010, quello che sancisce il principio del ritiro “Uno contro uno”. Dal 18 giugno in poi i consumatori potranno consegnare gratuitamente al punto vendita o a chi ha consegnato il prodotto a domicilio l’apparecchiatura elettronica guasta o da rottamare in occasione dell’acquisto di un nuovo prodotto che va a sostituire quella da smaltire. Saranno loro ad occuparsi dello smaltimento senza ulteriori costi per l’acquirente.
Il Decreto n.65/2010 è arrivato in Gazzetta Ufficiale (n.102 del 4 Maggio 2010) dopo due anni dall’entrata in vigore del decreto 151/2005 (che regola la raccolta e il riciclo dei rifiuti elettronici, in attuazione delle direttive europee).
In questo modo si vuole tenere traccia del percorso dei Raee dismessi ed evitarne il loro smaltimento illecito.  Infatti, una volta riconsegnato al negozio, il rivenditore ha l’obbligo di trasportare il vecchio apparecchio fuori uso fino ai centri di raccolta autorizzati.
M.S.

La Consulta boccia le regioni sull’eolico

 

L’ultima è stateolico 1--400x300a la Valle d’Aosta. Nel corso di meno di un anno la scure della Corte costituzionale si è abbattuta sulle norme relative alle fonti rinnovabili di Calabria, Puglia, Molise e Basilicata. E sono ancora pendenti altri ricorsi contro quelle di Campania, Marche, Toscana e ancora Basilicata (stando ai precedenti, con buone probabilità di successo).
[...]Neanche lo Stato ci fa una bella figura: le linee guida sulle fonti rinnovabili, che una volta emanate avrebbero permesso alle regioni di esercitare la propria autonomia, sono in ritardo di sette anni. Il vuoto normativo viene riempito in qualche modo, con leggi e delibere talora abnormi e talaltra di contenuto accettabile, che di tanto in tanto vengono cancellate con penalizzanti effetti retroattivi su cittadini e imprese.
Secondo la Corte costituzionale resta e resterà prerogativa dello Stato stabilire – regione per regione – gli obiettivi da raggiungere in termini di potenza dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, che sono «opere di pubblica utilità, indifferibili e urgenti». Pertanto, non è possibile in alcun modo limitare l’installazione degli impianti, stabilendo tetti di potenza anche fonte per fonte, moratorie all’installazione, restrizioni alla concorrenza con il privilegio di operatori locali o comunque scelti dagli enti locali.
Allo stesso modo, è competenza dello Stato dettare le procedure burocratiche (autorizzazione unica o sua semplificazione con Dia).
Quindi è illegittima la richiesta di corrispettivi economici o finanziari per il rilascio degli assensi, è impossibile pretendere tempi burocratici più lunghi per l’iter, è negato anche il fatto di semplificare ulteriormente l’installazione, sostituendo in certi casi l’autorizzazione unica con la Dia. La regione, infine, può gestire in proprio le relative autorizzazioni, o delegarle alle province, ma non ai comuni. Tutte queste regole sono destinate a cambiare solo con il mutare delle norme nazionali, pur sempre condizionate dagli obiettivi di Kyoto, e quindi, secondo la Corte, non si vede perché mai le norme regionali si affannino a infrangerle.
Ma non è finita qui. Non c’è alcun dubbio sul fatto che gli enti locali, regioni in primis, sono investiti del ruolo di «procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti ». Peccato però che, al momento, non possano farlo. Prima, infatti, devono essere approvate in Conferenza unificata Stato-Regioni le linee guida nazionali ai sensi dell’articolo 8 del Dlgs 281/ 1997, su proposta del ministro delle Attività produttive e in accordo con gli altri ministeri competenti. È solo in applicazione a tali linee guida che potranno essere stilate quelle locali.
Perciò, quelle varate in quasi tutte le regioni italiane sono problematiche, anche quando contengono prescrizioni ragionevoli: per esempio, pongono delle condizioni all’installazione di impianti eolici o fotovoltaici nei siti di importanza comunitaria (Sic), nelle zone di protezione speciale (Zps), nei parchi naturali o nelle zone Natura 2000. Secondo Marco Pigni, direttore dell’Aper (Associazione nazionale produttori fonti rinnovabili): «Troppo spesso le Regioni intervengono con strumenti limitanti lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, sfruttando a questo scopo in modo improprio anche i piani paesaggistici».
Tra i poteri riconosciuti alle regioni, invece, c’è la possibilità di dettare normative di dettaglio riguardo agli aspetti procedimentali secondo le proprie esigenze, purché non contraddicano le norme di cornice (sentenza 119/2010). Le regioni hanno poi il diritto di stabilire misure di compensazione e riequilibrio ambientale (sentenze 282/2009, 124/2010), per esempio la riduzione delle emissioni inquinanti o la “sistemazione” dei siti, e attribuire alle province e ai comuni funzioni di vigilanza sanitaria e ambientale, ad esempio sulle fonti di inquinamento elettromagnetico (sentenza 120/2010).
«Va infine ricordato – sottolinea Pigni – che entro il prossimo 5 dicembre dovrà essere recepita dall’Italia la direttiva 2009/28/Ce con cui l’attuale bozza relativa alle Linee guida nazionali dovrà inevitabilmente confrontarsi».

Stress da lavoro, l’obbligo di valutarne i rischi

 

Il 1°agostress one-500x499sto diverrà operativo l’obbligo di valutare i rischi da stress lavoro-correlato. Quello dello stress lavorativo s’inserisce nel quadro del decreto sulla sicurezza. L’articolo 28 comma 2 del Testo unico (Dlgs n. 81/2008) cita, espressamente, lo «stress lavoro-correlato», imponendo una specifica valutazione di rischi.
Un primo problema in materia è che la disposizione non dà, però, ulteriori informazioni. La norma, piuttosto, rinvia, per i «contenuti» a uno specifico accordo europeo del 2004, firmato da varie associazioni europee di datori e di organizzazioni sindacali di lavoratori, testo, che data la sua natura, individua un quadro d’intenti, ma non dà, ai singoli datori, esaustive indicazioni di ordine tecnico.
Il documento, comunque, segnala che lo stress lavoro-correlato è «una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale» e che esso è «conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro». Non si tratta, però, di una vera e propria nozione, che sarebbe stata, invece, utile per costruire l’”impalcatura” valutativa.
Su questa tipologia di stress, tuttavia, la «Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro», prevista all’articolo 6 del Dlgs n. 81 dovrebbe fornire, secondo quanto previsto dal comma 1- bis dell’articolo 28, delle indicazioni. Ulteriore problema in materia è che esse, al momento, mancano. Per avere elementi utili, nel frattempo, datori e loro staff, pertanto, devono fare affidamento solo su guide e su altri documenti elaborati da vari soggetti pubblici e privati.
In questa situazione d’incertezza qualche punto fermo giuridico è, comunque, individuabile. Innanzitutto, l’obbligo in esame fa parte del più generale obbligo di valutazione di «tutti i rischi» di cui all’articolo 28 del Dlgs n. 81/2008 e, perciò, richiede di procedere all’elaborazione di un documento secondo i canoni di contenuto individuati dal comma 2 di quell’articolo. Così, per realizzare, compiutamente, il proprio «dover fare» il datore dovrà provvedere a integrare il documento valutativo (di cui agli articoli 17 e 28, comma 1, del Dlgs n. 81/2008), già predisposto o a produrre un ulteriore documento aggiuntivo sullo stress lavoro correlato, ma avente le stesse caratteristiche dell’altro più generale.
In ogni caso, il documento relativo allo stress lavorativo dovrà contenere, sulla base del comma 2 dell’articolo 28 :
- il programma delle misure di miglioramento della condizione individuale rispetto allo stress;
- i ruoli dell’organizzazione aziendale che debbono provvedere;
- l’individuazione delle procedure organizzative per l’attuazione delle misure da realizzare.
È da ritenere, peraltro, che i datori che impiegano fino a 10 lavoratori potranno utilizzare, (dal 1° agosto 2010) fino al 30 giugno 2012, l’autocertificazione sulla valutazione, fruendo, anche in ordine alla valutazione qui in esame e con opportuna integrazione, della modalità generale prevista dall’articolo 29 comma 5 del Dlgs n. 81/2008,
In una fase in cui in cui molte aziende sono in crisi, l’obbligo di valutare lo stress può apparire, a taluni, fuori luogo. È da ritenere, ragionevolmente, che non sia così. La valutazione, infatti, non presenta un costo significativo, ma richiede piuttosto di mobilitare competenze spesso presenti in azienda e, al massimo, di integrarle con un esborso molto limitato.
Inoltre, migliorare i “fondamentali” della propria azienda, cioè, in questo caso, la condizione individuale e sociale degli uomini e delle donne che lavorano in essa, rappresenta a ben vedere, per ogni datore lungimirante, un valido investimento.

Vedi Il Sole 24 ore

Risparmio energetico, proroga termini presentazione domande di incentivi

 

 

Energie Rinnovabili evoluzioni

 

Imprese e industrie che realizzano impianti per il risparmio energetico o il teleriscaldamento possono presentare domanda di incentivo entro il 31 marzo 2012. Lo slittamento del termine, autorizzato dal ministero dello Sviluppo economico, nasce dall’esigenza di concedere più tempo per la predisposizione dei progetti. L’incentivo si basa sul sistema dei Certificati Bianchi, che vengono riconosciuti per un periodo di 10 anni nel caso degli impianti di produzione e 15 anni per le strutture abbinate al teleriscaldamento. Il valore del certificato si calcola nell’ordine dei 100 euro per ogni “Tep”, che equivale al consumo medio annuale di energia di una famiglia media. La precedente scadenza era fissata al 30 novembre 2011.
I contributi sono concessi per le strutture di cogenerazione ad alto rendimento, diffuse soprattutto in settori industriali ad alto consumo di energia termica e nel settore dei servizi annessi a reti di teleriscaldamento urbano. “Il nuovo regime di sostegno – assicura il ministero dello Sviluppo economico – può assicurare un ulteriore sviluppo di questa tecnologia, conseguendo non solo nuovi obiettivi in termini di risparmio energetico, ma anche significative ricadute positive sui settori industriali che consumano l’energia termica e l’energia elettrica prodotta nel proprio ciclo di lavorazione, abbattendo direttamente il costo dell’energia”. La misura è cumulabile solo con fondi di garanzia, detassazione e altri contributi in conto capitale. Nel caso di impianti entrati in funzione nei periodi compresi tra primo aprile 1999 e 7 marzo 2007 o da quest’ultima data al 31 dicembre 2010 sono stabilite condizioni particolari per l’assegnazione degli incentivi e comunque è prevista una riserva del 30 per cento degli aiuti concessi dal bando.

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Decreto di proroga del Ministero Sviluppo Economico

Workshop Safety Day – Un progetto di responsabilità Sociale di Impresa

 

Si è tenuto presso la Camera safety-day-salernodi Commercio di Salerno,  il workshop “Safety Day: Un progetto di responsabilità Sociale d’Impresa“.
L’iniziativa è stata promossa da Unioncamere Campania, nell’ambito della convenzione stipulata con INAIL Campania e Consorzio Promos Ricerche, al fine di realizzare un programma di attività per l’attivazione di un Osservatorio della Sicurezza dei Lavoratori e della Sostenibilità del territorio.
In particolare, l’evento si sviluppa attraverso un workshop sulla sicurezza sul lavoro e responsabilità sociale d’impresa e un corso gratuito per Auditor interno di Sistemi di Gestione della Sicurezza, riservato a 25 partecipanti, rappresentanti di enti e imprese della provincia.
Il corso di auditor si è tenuto presso la Camera di Commercio di Salerno nei giorni 19, 20 e 21 maggio 2010.
E’ possibile scaricare l’invito al workshop con il programma dettagliato qui

Invito “Safety Day” Salerno – 30 Aprile 2010

Coca Cola viaggia sulla strada verde della sostenibilità

 

Anche la Coca Cola pensa a un futuro più sostenibile. Dopo l’avvio delle campagne di sensibilizzazione al riciclo, i vertici della multinazionale hanno annunciato di voler dare il via libera ad alcuni progetti di sostenibilità industriale e ambientale. Uno sforzo che gli amministratori della compagnia vorrebbero fosse accompagnato anche dalle azioni delle altre grandi industrie. Per questo il managing director della società, Simon Baldry, a margine del convegno londinese dei produttori di bibite analcoliche, ha voluto sottolineare come i consumatori siano diventati più sensibili alle tematiche ambientali e al cambiamento climatico e stiano facendo forti pressioni affinché le industrie mettano al centro del loro business azioni realmente sostenibili.
Una sollecitazione che si traduce, inevitabilmente, in un invito a adottare politiche più responsabili per non vedere crollare il proprio fatturato nei prossimi anni. Baldry ha voluto sottolineare che dovranno essere intraprese per il futuro azioni concrete sulla strada della responsabilità sociale di impresa, adottando nuove misure di eco-sostenibilità. E se il richiamo a un comportamento più green è arrivato alla Coca Cola direttamente dai suoi consumatori, la compagnia ha ancora molto lavoro da fare sul fronte del taglio delle emissioni.
La multinazionale si è però impegnata a ridurre entro il 2020 del 15% la sua “impronta di carbonio”. Tra le iniziative che la compagnia sta sostenendo nel Regno Unito c’è anche lo studio di una bottiglia fatta interamente con plastica riciclata e una campagna nazionale di riciclaggio in 55 città. Tra le misure prese dalla Coca Cola a salvaguardia dell’ambiente anche la modifica di veicoli e frigoriferi che trasportano le bottiglie per ridurre il loro impatto ambientale e l’adozione, dal 2015, di eco-distributori.

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